Academy for Coaching Innovation
Dal 2013 Alleniamo il Cambiamento e Formiamo il Futuro
Più di 600 Coach formati e accreditati ICF
Oltre 8.000 ore di Executive, Business & Innovation Coaching
Più di 40 progetti di Corporate Change & Innovation














I nostri Corsi e Master

Business Innovation Coaching For Executives
Un Master di 175 ore per professionisti e manager che vogliono allenare il cambiamento, generare nuove prospettive di innovazione e prepararsi ad agire a livello Executive.
La frequenza a questo master offre l’opportunità di accumulare 100 ore di vero coaching aziendale – in buona parte remunerato – tramite il nostro progetto Coach Bridge, così da maturare le ore richieste per l’accreditamento ICF, costruirsi una esperienza autentica e dare più valore al tuo CV da coach.
Inoltre, dall’edizione di ottobre 2025, il master include la certificazione internazionale ICAgile Agile Coach (ICP-ACC), offrendo una doppia qualifica ICF + Agile Coach.

Life & Business Innovation Coaching
Un corso di 85 ore accreditato Level 1 ICF dedicato a chi vuole iniziare a lavorare come coach con basi solide, concrete e riconosciute.
Il corso ti guiderà passo dopo passo nello sviluppo delle 8 Core Competencies ICF e non solo, con un approccio pratico, esperienziale e subito spendibile nella vita professionale e personale. Ideale come base per chi vuole iniziare a lavorare come Life, Executive & Business Coach accreditato ICF.
Il corso non include la la certificazione ICP-ACC di Agile Coach e la possibilità di aderire al progetto Coach Bridge.
Vuoi ricevere la brochure dei nostri corsi?
Con la brochure ti regaliamo anche l’iscrizione alla Yucan Coaching Guide,un corso di coaching gratuito in 80 puntate via email che riprende tutti gli argomenti del nostro Level 2.
Alleniamo Leader, formiamo Coach
Non offriamo solo corsi, ma percorsi che uniscono metodologia internazionale, esperienza reale e visione dell’innovazione.
Il nostro approccio fonde le competenze umanistiche del coaching ICF con la concretezza del mondo business ed executive, arricchendole oggi con le certificazioni ICAgile.
Tutti i nostri programmi sono costruiti sulla base di solide evidenze scientifiche, evitando approcci come la PNL, poco pertinenti al coaching professionale e più vicini ad altre professioni
Chi sceglie Yucan vive un training basato su casi reali, pratica aziendale attraverso il progetto Coach Bridge, e strumenti per agire sia sul piano individuale, sia a livello di team che su quello organizzativo.
Il risultato non è soltanto un titolo, ma la capacità di accompagnare persone e imprese nelle sfide di cambiamento, con credenziali riconosciute a livello globale.

I nostri programmi
La prossima edizione dei corsi è prevista per il 15 febbraio 2026

Life & Business Innovation Coaching
- 8 Core Competencies ICF
- L’ascolto ed empatia
- Comunicazione e domande potenti
- La strategia di sessione
- Le dinamiche della Motivazione Umana
- La comunicazione e Il metamodello
- Professional Branding
- Strategie di avvio alla Professione
- Preparazione esame ICF
- Mentor Coaching a livello ACC (Bars)

Business Innovation Coaching for Executives
- Programma Level 1 +
- Teoria delle decisioni
- Leadership Creativa
- Dinamiche emotive
- Team Coaching
- Teorie dell’Innovazione
- La metodologia Agile
- Coaching e AI
- Mentor Coaching a livello PCC (Markers)
- Coach Bridge (100 ore di pratica remunerata)
- Supporto Post Corso
Nella nostra brochure troverai i programmi di dettaglio, le date degli incontri, i costi, come funziona Coach Bridge e alcuni dettagli sulla certificazione in Agile Coaching.
Con la brochure ti regaliamo anche l’iscrizione alla Yucan Coaching Guide, un corso di coaching gratuito in 80 puntate via email che riprende l’intero programma del nostro Level 2.
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Alcune referenze
Un vero master a livello universitario che ti prepara concretamente a servire clienti come Executive e Business Coach. Particolarmente interessante ed utile è come Mauro Beretta sia riuscito ad integrare, grazie alla sua notevole esperienza, le metodologie di coaching con quelle tipiche dell’innovazione.
Il corso in Innovation Coaching condotto dal docente e professionista Mauro Beretta è stato ispirante e di grande aiuto nell’approcciare una nuova professionalità che contribuisce a formarmi come professionista a tutto tondo. Mi ha permesso di approfondire molte tematiche e strumenti utili per gestire meglio il rapporto con colleghi e altri professionisti, così come per supportare i clienti nella gestione delle loro dinamiche personali in ambito lavorativo.
Dopo anni di attività manageriale, volevo investire sulle skill orientate allo sviluppo delle persone e cercavo contenuti concreti e un programma compatibile con i miei ritmi di lavoro: ho trovato esattamente quello che serviva, oltre ad un gruppo molto stimolante e un docente che rimarrà sempre un mentore!
Ho scelto Yucan Academy per affinare le mie competenze manageriali e ho trovato un percorso estremamente concreto e applicabile al mio ruolo di Area Manager in Angelini Pharma.
Ogni modulo mi ha offerto strumenti utili per migliorare la mia capacità di guidare team numerosi e complessi, aumentando motivazione, collaborazione e performance.
Ho apprezzato in particolare l’approccio pratico del coaching, che mi ha aiutato a comunicare in modo più efficace, gestire meglio le dinamiche interne e valorizzare i talenti dei miei collaboratori.
Oggi sento di avere maggiore consapevolezza e strumenti per portare risultati duraturi grazie a uno stile di leadership più autentico e incisivo.
Il percorso con Mauro mi ha aiutato a migliorare le capacità di leadership, gestione del cambiamento e decisionali ma soprattutto mi ha insegnato a potenziare le performance altrui, stimolare l’innovazione nelle Organizzazioni partendo dalle persone, quindi facilitare la crescita personale e professionale, affrontare sfide specifiche e per traguardare obiettivi personali e organizzativi.
Scarica la nostra brochure: troverai i programmi di dettaglio, le date degli incontri, i costi e come funziona Coach Bridge.
Con la brochure ti regaliamo anche l’iscrizione alla Yucan Coaching Guide, un corso di coaching gratuito in 80 puntate via email che riprende l’intero programma del nostro Level 2.
Yucan Coaching Guide
Avvicinati al coaching con la nostra guida gratuita
La Yucan Coaching Guide è il tuo punto di partenza ideale per scoprire il coaching in tutte le sue sfaccettature. Un percorso gratuito, pensato per chi desidera esplorare questa disciplina con la qualità e la profondità che contraddistingue la nostra Academy of Coaching Innovation.
Riceverai via email settimanalmente una selezione esclusiva di contenuti, direttamente dalle lezioni del nostro Master ICF Level 2 “Business Innovation Coaching for Executives”. Ogni puntata, curata personalmente da Mauro Beretta, CEO Yucan e fondatore della Academy for Coaching Innovation, ti offrirà teoria, strumenti pratici, casi reali e preziose riflessioni dal suo taccuino di coach.
Che tu sia semplicemente curioso o stia valutando un futuro nel coaching, questa guida ti fornirà una panoramica completa e autorevole, senza pressioni e con spunti concreti per la tua crescita.
Di seguito troverai l’indice degli argomenti e due esempi di puntata, la prima dal titolo: “Dal Metodo alla Maestria: il viaggio da ACC ad MCC.”, la seconda “Dal mio Taccuino: un giorno da coach”.
Tutte le puntate della Coaching Guide
Coaching essentials
- 1Benvenuto nella nostra Newsletter
- 2Cos'è davvero il coaching (e cosa non è)?
- 3Dal mio Taccuino: Quando ho cercato di "salvare" un coachee… e ho sbagliato tutto
- 4Perché la formazione ICF in coaching ha delle regole (e noi le seguiamo)
- 5Che coach vuoi diventare? Le vere differenze tra Business, Executive e Life
- 6Dal mio Taccuino: Quando il business coaching diventa trasformazione personale
- 7Quando il coaching diventa di squadra: il Team Coaching
- 8Che livello di coach vuoi essere? Guida pratica a ACC, PCC, MCC
- 9Come funziona davvero l'accreditamento ICF
- 10Dal mio Taccuino: Un giorno da coach: il mio diario senza filtri
Structure, ethics, and growth in coaching
- 11Sei coach solo quando fai coaching? (Spoiler: NO)
- 12Dal mio Taccuino: Le 3 trappole del neo-coach (ci sono passato anche io)
- 13Coaching in un Mondo incerto: come restare lucidi nel caos
- 14Diventare coach: come costruirsi una carriera solida (davvero)
- 15Dal mio Taccuino: Il giorno in cui il coachee ha insegnato qualcosa a me
- 16Serve davvero un contratto nel coaching? Sì. E ti spiego perché
- 17L'accordo di coaching: molto più di una formalità
- 18Cosa è (davvero) responsabilità del coach?
- 19Dal mio Taccuino: Un feedback che mi ha fatto male. Ma aveva ragione.
- 20Il coachee è responsabile di qualcosa? Sì, ed è fondamentale.
- 21Come si misura il successo in un percorso di coaching?
- 22Dal mio Taccuino: Una sessione disastrosa. Eppure utile.
- 23Markers e Bars ICF: come si valuta davvero una sessione
ICF core competencies
- 24Le 8 competenze fondamentali del coaching professionale
- 25Codice etico ICF: coaching con integrità
- 26Dal mio Taccuino: Quando ho detto "Non sono il coach giusto per te!"
- 27Core Competency 1: Agire secondo l'etica professionale
- 28Core Competency 2: Avere una mentalità da coach (coaching mindset)
- 29Dal mio Taccuino: Quella volta che ho perso il mindset da coach… e l'ho recuperato
- 30Core Competency 3: Stabilire accordi chiari e utili
- 31Dal mio Taccuino: Un accordo poco chiaro può rovinare una sessione. Ecco cosa mi è successo
- 32Core Competency 4: Costruire fiducia e sicurezza con il cliente
- 33Core Competency 5: Essere pienamente presenti (anche nei silenzi)
- 34Dal mio Taccuino: Quella volta che ho "perso presenza"… e il coachee se n'è accorto
- 35Core Competency 6: Ascoltare attivamente (oltre le parole)
- 36Core Competency 7: Evocare consapevolezza e insight
- 37Dal mio Taccuino: Il coachee ha avuto un insight potente… mentre io pensavo alla spesa
- 38Core Competency 8: Facilitare crescita, azione e autonomia
- 39Dal mio Taccuino: Il coaching fatto al bar (spoiler: non era coaching)
Coaching tools
- 40Cos'è davvero l'empatia (e perché non basta "sentire")
- 41Approccio Egoless: quando il coach fa un passo indietro per farne fare uno avanti
- 42Dal mio Taccuino: Quando ho sbagliato ad "accelerare" l'innovazione del coachee
- 43Ascolto, emozioni e sentimenti: la relazione che trasforma
- 44Tecniche pratiche per gestire le emozioni in sessione
- 45Ascoltare i valori e i bisogni nascosti del coachee
- 46Gli strumenti dell'ascolto: cosa ci serve davvero?
- 47Dal mio Taccuino: La volta in cui ho capito che non stavo ascoltando davvero
- 48Le barriere più comuni all'ascolto (e come smontarle)
- 49Come si formulano domande potenti e trasformative
- 50Dal mio Taccuino: Le domande più strane (e inutili) che ho fatto in coaching
- 51Assertività nel coaching: dire le cose con coraggio e rispetto
- 52Obiettivi nel coaching: chiarezza, direzione, significato
- 53Obiettivo strumento o obiettivo fine? Come distinguerli
- 54Obiettivi "verso" e "via da": motivare senza manipolare
- 55Gli obiettivi: di chi sono, davvero?
- 56Dal mio Taccuino: Il peggior obiettivo mai posto (e cosa ho imparato)
Mind & behavior
- 57Come percepiamo la realtà – introduzione ai filtri cognitivi
- 58Generalizzazioni, cancellazioni, distorsioni: gli errori di percezione
- 59Canali rappresentazionali: visivo, auditivo, cinestesico
- 60Dal mio Taccuino: Quel silenzio che diceva più di mille parole
- 61Gestire le opzioni: aiutare il coachee a vedere possibilità
- 62La volontà di agire: come nasce davvero l'azione
- 63Preoccuparsi o occuparsi? Un cambio di mindset decisivo
- 64Motivazione: i bisogni di base e cosa succede se non sono soddisfatti
- 65Il continuum della motivazione: da "devo" a "scelgo"
- 66Cos'è il Flow (e perché nel coaching è un segnale potente)
- 67Dal mio Taccuino: Il coachee che non parlava mai… eppure cambiava
- 68Le potenzialità umane: scoprirle, valorizzarle, allenarle
Coaching innovation tools
- 69Coaching e Innovazione: il ruolo del coach nei processi di cambiamento
- 70Cicli di feedback nell'innovazione: come il coaching li sostiene
- 71Le dinamiche umane nell'innovazione aziendale
- 72Dal mio Taccuino: coaching e innovazione in un'azienda che non voleva cambiare (e forse non poteva)
- 73Pitch Coaching: allenare chiarezza, sintesi e impatto comunicativo
- 74Coaching e Intelligenza Artificiale: alleanza o minaccia?
Coaching areas
- 75Startup Coaching: il coaching per chi parte da zero
- 76Dal mio Taccuino: L'errore che ho fatto con un founder (e che oggi evito)
- 77Coaching per PMI: sfide, linguaggi, adattamenti
- 78Coaching in azienda: cosa funziona davvero (e cosa no)
- 79Dal mio Taccuino: quando una sessione ha fatto tremare un'intera cultura aziendale
- 80Life Coaching: tra cliché, verità e approccio professionale
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Dalla nostra Coaching Guide #8/80
Dal metodo alla maestria:
Il viaggio da ACC a MCC
Diventare coach non significa ottenere un’etichetta, ma intraprendere un vero percorso di crescita professionale. Le credenziali ICF – ACC, PCC e MCC – rappresentano le tappe di questa carriera: non semplici certificazioni formali, ma livelli progressivi di professionalità, responsabilità e maestria.
Ognuno di questi livelli racconta uno stadio diverso di maturità: dall’avere le basi solide per avviare la professione, al saper gestire con sicurezza processi di coaching complessi, fino a incarnare una presenza che diventa catalizzatrice di trasformazioni profonde. Non sono, dunque, scelte di “stile personale”, ma gradi di adesione a uno standard internazionale che scandisce la crescita del coach e garantisce qualità e affidabilità per i clienti.
Nel corso di questa puntata, dopo aver descritto come evolve il coaching ai tre livelli, illustrerò anche i processi di accreditamento che consentono di ottenere queste credenziali professionali, rimandando a tre tabelle riassuntive finali per i dettagli legati a requisiti formativi, ore di esperienza e modalità di applicazione.
La carriera del Coach
Chi è il coach ACC
Il coach ACC è una persona che ha da poco avviato la sua carriera, ma già padroneggia con solidità le competenze fondamentali. Nelle sue sessioni si percepisce una grande cura nel seguire la struttura del processo: ascolta, fa domande, guida con ordine il percorso. È un coaching che dà sicurezza al cliente, perché non lascia nulla al caso.
Dal punto di vista del cliente, avere un coach ACC significa poterlavorare su obiettivi concreti, ben delimitati, con la certezza che il coach porterà sempre il focus sul risultato. È come avere un professionista “metodico” che accompagna passo passo, creando chiarezza, supporto e disciplina. È il livello ideale per chi si affaccia al coaching per la prima volta.
Chi è il coach PCC
Con il PCC si entra in una fase di maggiore maturità. Il coach non si limita più a condurre con metodo, ma si muove con fluidità dentro la relazione. Le sue domande non sono solo puntuali, ma entrano in profondità; i silenzi diventano spazi di riflessione; i clienti non si sentono semplicemente accompagnati, ma co-protagonisti.
Dal punto di vista di chi riceve coaching, la differenza è evidente. Con un coach PCC si lavora non solo sugli obiettivi dichiarati ma anche su ciò che li sostiene: valori, convinzioni, schemi di relazione. Il cliente percepisce un senso di partnership: non è più un percorso “condotto” dal coach, ma un cammino condiviso, dove emergono consapevolezze nuove e trasformazioni più durature.
Chi è il coach MCC
Arrivare all’MCC significa toccare il livello di maestria. L’esperienza e le migliaia di ore di pratica consentono un coaching che appare naturale, senza forzature, quasi “invisibile”. Il coach MCC è presente con totale fiducia nella capacità del cliente e sa co-creare uno spazio di trasformazione profonda. Usa il silenzio come strumento potente, coglie le sfumature, lavora non solo sul singolo ma sul sistema intorno.
Dal punto di vista del cliente, il coaching con un MCC è spesso un’esperienza sorprendente: non si tratta solo di raggiungere obiettivi, ma di un vero spostamento di prospettiva. Le conversazioni diventano catalizzatori di cambiamento, le intuizioni arrivano in modo quasi naturale e l’impatto va oltre il tema portato, abbracciando spesso l’identità e la leadership personale.
In conclusione la differenza tra ACC, PCC e MCC non è solo nelle ore di formazione o di esperienza, ma nel modo in cui il coach “si porta” dentro la relazione. L’ACC offre struttura e metodo, il PCC regala partnership e profondità, l’MCC crea spazi trasformativi di maestria.
Per i clienti significa scegliere non solo un livello di esperienza, ma anche un diverso modo di essere accompagnati. C’è chi ha bisogno di un coach ACC per iniziare a lavorare in sicurezza su obiettivi concreti, chi cerca un PCC per esplorare a fondo risorse e blocchi interiori, e chi sente di voler lavorare con un MCC per intraprendere un viaggio trasformativo che può toccare dimensioni molto profonde della propria crescita.
I processi di accreditamento
In fondo a questa puntata troverà tre tabelle riassuntive dedicate ai percorsi di accreditamento ACC, PCC e MCC: uno strumento pratico per orientarsi tra requisiti, ore di pratica e costi. Prima di arrivarci, però, è importante chiarire alcuni concetti, perché dietro a quei numeri ci sono differenze sostanziali nel modo in cui ci si forma e si sviluppa la professione di coach.
La formazione rappresenta il primo elemento. Chi sceglie un programma accreditato ICF – Level 1, Level 2 o Level 3 – si trova davanti a un percorso più lineare, perché tutto è già incluso: ore di lezione, mentor coaching e performance evaluation. Esiste però anche la possibilità di arrivare a una credenziale partendo da corsi non accreditati ICF: in questo caso si entra nel cosiddetto Portfolio Path, che richiede molta più documentazione (attenzione ai programmi, alle ore, ai contenuti e ai docenti) ed è generalmente più oneroso perché alcuni requisiti – come il mentor coaching – vanno acquistati a parte.
Il secondo pilastro è l’esperienza di coaching reale. ICF non si accontenta di un titolo formativo: pretende che il coaching sia stato praticato con clienti reali. Per questo stabilisce un numero minimo di ore (100 per l’ACC, 500 per il PCC, 2.500 per l’MCC) e distingue tra ore pagate e non pagate. Le ore pagate sono fondamentali, perché dicono che il coach è già percepito come professionista. Inoltre, occorre lavorare con un numero minimo di clienti diversi, perché la varietà delle esperienze è ciò che costruisce solidità e flessibilità nella pratica.
Un terzo elemento cruciale è il Mentor Coaching: dieci ore di supervisione distribuite su almeno tre mesi, di cui almeno tre individuali, con un coach più esperto. Nei programmi accreditati queste ore sono integrate e coordinate dalla scuola; nei percorsi Portfolio o nei vecchi ACSTH vanno invece ricercate e acquistate separatamente. Per molti coach questa è una delle esperienze più formative, perché il mentor fornisce feedback diretto e mirato sullo stile e sulla qualità delle sessioni.
Infine, ci sono i due momenti che segnano il vero “esame di passaggio”: la Performance Evaluation e l’esame scritto ICF (ICF Credentialing Exam). La Performance Evaluation è il cuore dell’accreditamento, perché è qui che un coach dimostra di saper applicare sul campo le Core Competencies. Il candidato deve registrare una sessione di coaching (tra i 20 e i 60 minuti) con un cliente reale, e in alcuni casi fornire anche la trascrizione integrale.
Ma c’è un punto fondamentale: la modalità di valutazione cambia a seconda del livello del percorso. Nei programmi Level 1 la registrazione è valutata secondo le BARS (Behaviorally Anchored Rating Scales), mentre nei programmi Level 2 si utilizzano i PCC Markers, un sistema molto più fine e rigoroso.
Le BARS sono delle scale ancorate a comportamenti osservabili. Per ciascuna competenza, l’assessor valuta come il coach svolge determinate azioni – ad esempio invitare il cliente a definire l’obiettivo della sessione – e le colloca lungo una scala che va da insufficiente a esemplare. Per l’ACC è sufficiente dimostrare un livello “sufficiente”: il coach mostra di padroneggiare le basi, anche se non sempre con piena fluidità o sensibilità. Le BARS misurano in sostanza la correttezza tecnica e l’adeguatezza del processo.
I PCC Markers, al contrario, funzionano come un sistema di evidenze binarie: 34 comportamenti osservabili che devono essere presenti o meno. Ogni marker corrisponde a un indicatore preciso: ad esempio, non basta che il coach chieda “qual è il tuo obiettivo oggi?”, ma deve co-creare con il cliente il criterio con cui il successo della sessione sarà riconosciuto. Se questo comportamento è presente, l’assessor registra il marker come “osservato”; se manca, “non osservato”. È un cambio di livello radicale: dai BARS, che attestano la sufficienza tecnica, si passa ai Markers, che certificano la partnership matura e trasformativa tipica del PCC.
La Performance Evaluation non è solo un filtro selettivo, ma un potente strumento di crescita. Gli assessors ICF, costantemente calibrati a livello internazionale, offrono feedback che aiutano il coach a riconoscere i propri punti di forza e le aree di miglioramento. Per molti candidati, è proprio in questo passaggio che avviene la vera evoluzione: dal “saper applicare delle tecniche” al “diventare coach” in senso pieno, consapevole e maturo.
ACC, PCC, MCC: Le tabelle riassuntive dei requisiti
Dopo aver esplorato il significato profondo delle credenziali ICF e come si evolvono la pratica e la presenza del coach a ogni livello, è il momento di avere a portata di mano tutti i dettagli pratici. Le seguenti tabelle riassumono in modo chiaro e conciso i requisiti fondamentali per ottenere le credenziali ACC, PCC e MCC, inclusi formazione, esperienza, mentor coaching e costi. Sono uno strumento essenziale per chiunque voglia pianificare il proprio percorso di accreditamento con l’International Coaching Federation.
Alla prossima puntata
Mauro AG Beretta
Direttore “Academy for Coaching Innovation by Yucan”



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Dalla nostra Coaching Guide #10/80
Un giorno da Coach:
Il mio diario senza Filtri
Avviarsi come coach richiede impegno e preparazione, ma quando le competenze si consolidano possono arrivare anche periodi di lavoro davvero intensi. A me è successo a cavallo tra il 2022 e il 2023, quando ho ricevuto un incarico particolarmente sfidante: seguire 60 dirigenti di un importante broker assicurativo, ciascuno con un percorso di coaching da 20 ore (10 incontri da due ore). In totale, 1.200 ore di coaching da completare entro 12 mesi.
Facendo un calcolo semplice, su circa 220 giorni lavorativi annui, la media sarebbe stata di circa cinque ore e mezza al giorno. In realtà le cose andarono diversamente: dovendo portare avanti anche altre attività – tra cui la mia scuola di coaching – ero costretto a concentrare il lavoro in giornate più intense. Il risultato era spesso di otto ore piene di coaching, suddivise in quattro sessioni da due ore ciascuna (9-11, 11.30-13.30, 14.30-16.30 e 17-19).
Il progetto aveva una cornice ambiziosa: l’azienda stava avviando una profonda trasformazione, sia nelle strategie commerciali che nella struttura organizzativa. Il cambiamento era ispirato al modello McKinsey delle 7S, che invita a superare una logica puramente gerarchica per costruire team dinamici, creati attorno alle opportunità di mercato e ai carichi di lavoro. Per rendere possibile questa trasformazione serviva un vero cambio di mindset da parte di tutti i dirigenti: non solo l’amministratore delegato e le prime linee, ma anche i responsabili delle principali funzioni dell’organizzazione.
Ed è qui che entro in gioco io. L’azienda decise che questo percorso non dovesse essere affidato a più coach, ma a uno solo, per garantire coerenza e omogeneità nello sviluppo: io. Una richiesta tanto stimolante quanto impegnativa. L’opportunità di una vita, che non potevo lasciarmi scappare, né dal punto di vista professionale né da quello personale (sì, con quell’incarico mi sono anche comprato una barca!).
Ma per riuscire a portarlo a termine dovevo organizzarmi in profondità, sul piano fisico, mentale e professionale. In queste pagine vi racconterò come è andata, come mi sono gestito per reggere un carico del genere e soprattutto quali insegnamenti ho tratto da quell’esperienza, trasformandoli in strumenti e pratiche che oggi trasmetto ai miei studenti.
L’organizzazione quotidiana: come ho imparato a reggere il ritmo
La base di partenza per affrontare quel progetto non era certo ideale.
Non mi è mai piaciuto alzarmi presto al mattino: sono sempre stato un animale notturno, abituato a cenare tardi e a concedermi un buon bicchiere di vino per chiudere la giornata. Inoltre, ho sempre fatto fatica a darmi regole di pianificazione, preferendo rincorrere le urgenze dell’ultimo minuto piuttosto che seguire una struttura precisa.
Forse è anche questo che mi ha attirato verso il coaching: è un lavoro che richiede libertà creativa, sì, ma allo stesso tempo si fonda su appuntamenti chiari, scadenze precise e una sorta di “disciplina nascosta”. Una sessione di coaching non la puoi improvvisare: se non ti prepari, rischi di non dare valore al cliente. In un certo senso, era il lavoro ideale per fornire una cornice di ordine alla mia natura un po’ disordinata.
Quando però mi sono trovato davanti a dodici mesi di lavoro con 60 dirigenti, per un totale di 1.200 ore di coaching, ho capito che il mio approccio spontaneo non sarebbe bastato. Non erano sufficienti il talento o la passione per le persone: servivano metodo, disciplina ed energia costante. Così ho scelto di cambiare, con un obiettivo chiaro a motivarmi (sì, comprarmi la barca era davvero una spinta potente!).
Mi sono costruito una disciplina quotidiana quasi da zero, imparando poco alla volta a:
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Prepararmi mentalmente ogni mattina, anche se svegliarmi presto restava una sfida. Ma chi aveva mai immaginato Mauro fare meditazione la mattina? Bastavano dieci minuti di silenzio o di respirazione per resettare la mente e “accendere” la presenza.
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Gestire le pause tra una sessione e l’altra in modo strategico: niente distrazioni inutili, ma piccoli reset, annotazioni essenziali e una breve camminata quando era possibile.
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Usare il taccuino come diario di bordo: poche note mirate – obiettivi, insight, punti chiave – per ogni dirigente. Ogni pagina era dedicata a una persona, per distinguere chiaramente percorsi e storie.
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Curare il contesto fisico, perché passare otto ore di fila tra coaching e call non è uno scherzo. Ho imparato a considerare la mia postazione come uno strumento di lavoro: luce giusta, ordine sulla scrivania, pausa per gli occhi e postura corretta.
Non è stato semplice, soprattutto perché non partivo con abitudini solide. Ma quella sfida mi ha insegnato che dietro qualsiasi grande progetto si nasconde un allenamento invisibile: fatto di piccole regole quotidiane che, se rispettate con costanza, diventano la chiave per reggere la maratona del coaching.
Le sfide incontrate
Il coaching richiede sempre presenza. Non basta essere fisicamente davanti a un cliente: bisogna esserci davvero, con l’ascolto, con l’attenzione, con l’intuizione. Ed è proprio qui che è arrivata la prima vera difficoltà. Fare coaching otto ore al giorno significava restare in una condizione di concentrazione continua, e non è affatto scontato. Era come correre una maratona quotidiana: all’inizio pensi che la preparazione basti, ma dopo qualche chilometro capisci che servono strategie mentali per non lasciarti risucchiare dalla stanchezza.
La seconda sfida era ancora più sottile: il rischio dell’automatismo. Sessanta dirigenti da seguire, tutti dentro lo stesso contesto aziendale, con obiettivi che spesso si assomigliavano. La tentazione era fortissima: ripetere le stesse domande, usare le stesse tecniche, riutilizzare le stesse strade. Ma sapevo che non potevo permettermelo: ogni persona è unica, ogni conversazione è un mondo a sé. Scivolare su un approccio “da catena di montaggio” avrebbe tradito non solo l’etica del coaching, ma soprattutto la fiducia che quelle persone avevano accordato a me. Così, ogni volta, facevo uno sforzo consapevole per incontrare il dirigente davanti a me come se fosse il primo e l’unico.
C’era poi il carico emotivo. In una sola giornata potevo entrare nella vita di quattro persone diverse, ognuna con i propri timori, difficoltà e ambizioni. Dopo la quarta sessione, la testa rischiava di diventare un contenitore traboccante di storie ed emozioni. Ho dovuto imparare a creare una sorta di “valvola di decompressione”: lasciare andare ciò che non era mio, custodire ciò che serviva restando però libero dai pesi che non mi appartenevano.
Infine, c’era la sfida invisibile ma sempre presente: tenere allineato l’individuale con il sistema. L’azienda non aveva avviato quei percorsi solo per sviluppare singoli dirigenti, ma per sostenere un cambio di mentalità complessivo, ispirato al modello McKinsey delle 7S. Il mio compito era delicato: da una parte aiutare ogni coachee a lavorare sui propri obiettivi personali, dall’altra mantenere il filo con la visione aziendale, che puntava a creare un nuovo modo di collaborare e di costruire team. In pratica: far crescere la persona senza perdere di vista il disegno collettivo.
Questo mosaico di sfide mi ha messo a dura prova, ma si è trasformato in un vero laboratorio di apprendimento. Col senno di poi, quelle giornate non sono state solo lavoro: sono state lezioni di vita e di professione che nessun corso di coaching avrebbe potuto insegnarmi.
Gli apprendimenti
Guardandomi indietro, capisco che quelle 1.200 ore non mi hanno dato soltanto soddisfazione professionale ed economica. Mi hanno lasciato un patrimonio di competenze ed esperienze che oggi considero parte integrante della mia identità di coach.
Il primo grande insegnamento è stato sulla disciplina. Io, che per natura sono sempre stato poco incline agli schemi rigidi e abituato a vivere la notte più del giorno, ho scoperto che la disciplina non è una prigione. È una forma di libertà. Impormi routine semplici ma costanti, definire momenti di centratura, avere rituali personali, non mi ha reso meno creativo: al contrario, mi ha permesso di arrivare davanti ai coachee con maggiore energia e lucidità. È stato come scoprire che, senza una struttura, rischi di perderti; con una struttura, invece, puoi esprimere il meglio di te.
Il secondo insegnamento riguarda la cura di sé. Fare coaching otto ore al giorno è una maratona fisica, mentale ed emotiva. Ho imparato che prendersi cura del proprio corpo e della propria mente non è un lusso, ma parte del mestiere. Alimentazione, pause, movimento, sonno: elementi che sembrano banali, ma che fanno la differenza tra un coach che tiene il passo e uno che si brucia. È una lezione che trasmetto sempre ai miei studenti: un buon coach non è solo chi sa ascoltare, è chi sa sostenere se stesso per reggere nel tempo.
E lo dico con autoironia, perché il lavoro da fare su me stesso non è certo finito: impormi la regola di rifare il letto la mattina, ad esempio… o togliermi di torno le sigarette. Insomma, anche i coach hanno i loro “cantieri aperti”.
Un terzo insegnamento è stata la capacità di gestire la complessità e la serialità. Con sessanta dirigenti era facile confondersi, sovrapporre storie, cadere in schemi ripetitivi. Ho imparato a “compartimentalizzare”: chiudere davvero una sessione prima di aprire la successiva, trattare ogni incontro come unico, rinnovare ogni volta la mia presenza. È stata una palestra formidabile di concentrazione e rispetto.
Il quarto insegnamento è legato al mio taccuino. Quell’agenda, apparentemente semplice, è diventata il mio diario professionale: poche note, ma mirate, appuntate subito dopo ogni sessione. Non era solo un modo per ricordare: era un vero strumento di apprendimento. Guardando quelle pagine ho visto crescere i coachee, ma anche me stesso. Ancora oggi dico agli studenti della mia Coaching Academy che annotare non serve solo a ricordare, ma a riflettere e migliorarsi.
Infine, la lezione più grande: il coaching come leva di trasformazione organizzativa. Questo progetto mi ha mostrato come il cambiamento individuale dei dirigenti si rifletta sull’intero sistema. Sessione dopo sessione vedevo non solo persone che crescevano, ma anche un’organizzazione che evolveva. È stata la conferma che il coaching non è mai un lavoro isolato: ogni conversazione ha il potere di innescare cambiamenti che vanno ben oltre il singolo individuo.
Quella esperienza è stata dura, ma mi ha insegnato che le sfide estreme non sono solo prove di resistenza. Sono acceleratori di crescita.
Una riflessione finale
Quel progetto mi ha insegnato che fare il coach non è solo un mestiere: è uno stile di vita. Non è qualcosa che “fai” nelle ore di lavoro, ma qualcosa che sei, anche quando sei stanco, anche quando vorresti mollare, anche quando il carico sembra troppo.
Ho scoperto che il coaching è disciplina e libertà insieme, che richiede cura di sé e presenza costante, che ti obbliga a guardare le persone ogni volta come nuove, senza mai prendere scorciatoie. Ma soprattutto ho capito che il coaching cambia te, prima ancora che i tuoi clienti.
Il mio taccuino, con le sue note scarabocchiate e le sue intuizioni appuntate in fretta, è diventato il simbolo di questo viaggio: un diario di crescita personale oltre che professionale. Ed è da quel taccuino che oggi traggo molti degli insegnamenti che passo agli studenti della Coaching Academy, perché la loro strada sia più consapevole della mia.
In fondo, questo è il messaggio che volevo lasciare con questo “giorno senza filtri”: il coaching è fatica, responsabilità e impegno, ma è anche il privilegio di vivere il lavoro come un’occasione quotidiana di trasformazione. Non solo per gli altri, ma anche per se stessi.
E lo dico con sincerità: ci sono ancora battaglie quotidiane tutte mie – come ricordarmi di rifare il letto la mattina o, meglio ancora, convincermi a dire addio definitivo alle sigarette. Perché alla fine anche i coach restano persone normali, con i loro cantieri aperti… ed è proprio questo che, senza filtri, ci ricorda di restare umani.
Alla prossima puntata
Mauro AG Beretta
Direttore “Academy for Coaching Innovation by Yucan”
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